“Privato della percezione e dell'intelligenza, l'uomo diventa simile ad una pianta”.
Aristotele
La convinzione che le piante siano prive d’intelligenza si è radicata nei secoli tanto nel mondo scientifico, quanto nel sentire comune. Eppure indizi capaci di smentire questa certezza sono sempre stati a portata d’osservazione: dal comportamento di piante che sfruttano insetti o animali per riprodursi, al modo consapevole con cui piante e alberi crescono in cerca della luce, fino ad atteggiamenti sorprendenti come quello della Mimosa Pudica, che contrae le proprie foglie al minimo stimolo tattile.
La domanda che alcuni si sono posti è stata dunque molto semplice: come è possibile tutto ciò senza un cervello?
Il primo a sfidare il pregiudizio sulla stupidità del mondo vegetale fu Charles Darwin, che ebbe l’ardire di parlare esplicitamente di cervello delle piante. Su quella strada si sono incamminati studiosi che hanno aperto un filone che oggi sta radicalmente cambiando la ricerca applicata al mondo vegetale. Così come la percezione diffusa nell’opinione pubblica; tanto che il libro del tedesco Peter Wohlleben, La vita segreta degli alberi, è diventato un bestseller mondiale.
Una delle voci più autorevoli di quella che oggi si chiama neurobiologia vegetale, è Stefano Mancuso professore all’Università di Firenze, che addirittura ribalta l’assunto aristotelico sul rapporto tra uomo, piante e intelligenza, dato che “le piante imparano dall’esperienza, noi umani evidentemente no”.
Noi di Treedom rappresentiamo spesso i nostri alberi umanizzandoli, attribuendo loro atteggiamenti e caratteristiche tipiche della nostra specie intelligente. È un modo per sorridere e creare empatia, ma potremmo presto scoprire che scientificamente è più corretta l’immagine di un albero che gioca e sorride che quella di un tronco di legno inanimato.