- Blog
- green light
- Indonesia....
Indonesia. Sole, mare, surf e plastica
lug 26, 2018 | scritto da: Tommaso Ciuffoletti
Un mondo più verde è sì un mondo con tanti nuovi alberi, ma è anche un mondo libero dalla troppa plastica che invece stiamo producendo e abbandonando nell’ambiente, con conseguenze di lungo e disastroso periodo. Questo è il racconto del viaggio a Bali di Tommaso Ciuffoletti, nostro Content Manager.
Sole, mare, surf e immersioni. Prendo il biglietto per l’Indonesia, meta centrale: Bali. Un profluvio di recensioni su guide, siti e blog la descrive come un paradiso terreste a base di natura e tradizioni locali. Ad accompagnare questi racconti leggo i dati di un’economia in crescita a ritmi medi di oltre il 5% l’anno nell’ultimo decennio, tanto da fare dell’Indonesia il quarto mercato al mondo di smartphone: un paese in cui due quinti dei suoi 255 milioni di abitanti (metà dei quali ha meno di 30 anni) ne possiedono uno.
L’arrivo a Jakarta e il viaggio attraverso Giava s’incaricano presto di mostrare le contraddizioni fra una bellezza antica e il deragliare della ruota di uno sviluppo che gira vorticosamente. Ma è l’arrivo a Bali a squarciare impietoso il velo dei racconti letti fin lì, ad ammantare una realtà ben diversa. Kuta e Seminyak sono due delle spiagge più celebri e frequentate di Bali ed è in quest’ultima che faccio base per un soggiorno che dopo la prima notte inizia con una passeggiata di primo mattino per cercare di capire dove e come surfare.
Ben presto la ricerca di uno spot cede il passo ad uno sconforto fatto di sguardi inquieti a lunghe strisce di spiaggia invasa da resti di bottigliette, sacchetti, buste e bustine. In alcuni casi lunghe centinaia di metri. È solo la prima tappa di un viaggio per l’isola a bordo dell’immancabile scooter in affitto per cercare onde e trovarle, sì, ma quasi sempre in compagnia di plastica ed altri rifiuti. A spiegarmi con infinita semplicità le ragioni di questa situazione ci pensa un signore canadese, residente da anni a Bali. “Prima gli indonesiani producevano principalmente due tipi di rifiuti: ossa di pollo e bucce di banane. Prendevano e li buttavano dietro casa, per strada, dove capitava. Tempo qualche settimana e non c’erano più. Oggi, ogni giorno, decine di milioni di indonesiani buttano dietro casa, per strada, dove capita, altri tipi di rifiuti: principalmente plastica. Quando arrivano le piogge la gran parte di questa plastica finisce nei fiumi e di lì in mare. Dove rimarrà per anni o chissà quanto”.
Il punto chiave di questa spiegazione apparentemente così banale, è in quei “ogni giorno” e “decine di milioni”. Moltiplicando ogni giorno per decine di milioni si spiega come mai l’Indonesia sia seconda solo alla Cina per l’inquinamento dei propri mari.
Sole, mare, surf e immersioni. Prendo il biglietto per l’Indonesia, meta centrale: Bali. Un profluvio di recensioni su guide, siti e blog la descrive come un paradiso terreste a base di natura e tradizioni locali. Ad accompagnare questi racconti leggo i dati di un’economia in crescita a ritmi medi di oltre il 5% l’anno nell’ultimo decennio, tanto da fare dell’Indonesia il quarto mercato al mondo di smartphone: un paese in cui due quinti dei suoi 255 milioni di abitanti (metà dei quali ha meno di 30 anni) ne possiedono uno.
L’arrivo a Jakarta e il viaggio attraverso Giava s’incaricano presto di mostrare le contraddizioni fra una bellezza antica e il deragliare della ruota di uno sviluppo che gira vorticosamente. Ma è l’arrivo a Bali a squarciare impietoso il velo dei racconti letti fin lì, ad ammantare una realtà ben diversa. Kuta e Seminyak sono due delle spiagge più celebri e frequentate di Bali ed è in quest’ultima che faccio base per un soggiorno che dopo la prima notte inizia con una passeggiata di primo mattino per cercare di capire dove e come surfare.
Ben presto la ricerca di uno spot cede il passo ad uno sconforto fatto di sguardi inquieti a lunghe strisce di spiaggia invasa da resti di bottigliette, sacchetti, buste e bustine. In alcuni casi lunghe centinaia di metri. È solo la prima tappa di un viaggio per l’isola a bordo dell’immancabile scooter in affitto per cercare onde e trovarle, sì, ma quasi sempre in compagnia di plastica ed altri rifiuti. A spiegarmi con infinita semplicità le ragioni di questa situazione ci pensa un signore canadese, residente da anni a Bali. “Prima gli indonesiani producevano principalmente due tipi di rifiuti: ossa di pollo e bucce di banane. Prendevano e li buttavano dietro casa, per strada, dove capitava. Tempo qualche settimana e non c’erano più. Oggi, ogni giorno, decine di milioni di indonesiani buttano dietro casa, per strada, dove capita, altri tipi di rifiuti: principalmente plastica. Quando arrivano le piogge la gran parte di questa plastica finisce nei fiumi e di lì in mare. Dove rimarrà per anni o chissà quanto”.
Il punto chiave di questa spiegazione apparentemente così banale, è in quei “ogni giorno” e “decine di milioni”. Moltiplicando ogni giorno per decine di milioni si spiega come mai l’Indonesia sia seconda solo alla Cina per l’inquinamento dei propri mari.