COP26 - Un fallimento annunciato (e al bando la retorica)

nov 16, 2021 | scritto da:

Come avevamo previsto, la COP26 si chiude con un sostanziale nulla di fatto. Al netto dei proclami buoni per qualche lancio d’agenzia, il nodo dei giochi negoziali e dei sussidi ai combustibili fossili hanno imbrigliato il documento finale. L’India fa la parte del paese cattivo o, forse sarebbe meglio dire, del capro espiatorio. Nel mentre che, però, un fiume di denaro si sposta sugli investimenti verdi.

Nessun miracolo a Glasgow

Dispiace dirlo, ma il miracolo non c’è stato e la COP26 viene archiviata tra le parole del Presidente Alok Sharma “Sono profondamente dispiaciuto”. 
Per capire meglio, consideriamo in dettaglio alcuni aspetti “formali” del documento.

  • Contenere a 1,5° l’aumento della temperatura media globale, è il nuovo obiettivo da raggiungere entro il 2030 (l’accordo di Parigi del 2015 fissava tale soglia a 2°).
  • È stato fissato, per il 2030, l’obiettivo minimo di un taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica rispetto al 2010 e l’obiettivo di zero emissioni nette intorno alla metà del secolo.
  • Si invitano i paesi a tagliare drasticamente anche gli altri gas serra (metano e protossido di azoto), a presentare nuovi obiettivi di decarbonizzazione entro la fine del 2022 e ad accelerare sull'installazione di fonti energetiche rinnovabili e sulla riduzione delle centrali a carbone e dei sussidi alle fonti fossili. 
  • La Cop26 riconosce l'importanza di giovani, donne e comunità indigene nella lotta alla crisi climatica, e stabilisce che la transizione ecologica debba essere giusta ed equa. 

Tutte ottime dichiarazioni, in linea di principio, ma in pratica si tratta di enunciazioni che formulano auspici, in alcuni casi in palese contraddizione con ciò che le analisi più accreditate indicano essere gli scenari realistici per il futuro.

Si prenda la dichiarazione relativa al contenere l’innalzamento delle temperature medie globali sotto la soglia di 1,5°. Ebbene, nei giorni immediatamente precedenti l’avvio della COP26 un documento del Programma Ambientale delle Nazioni Unite, mostrava che alle condizioni attuali l’aumento delle temperature stimato entro la fine del secolo sarà di 2,7°. Tale documento prendeva a riferimento il limite di riscaldamento di 2° indicato a Parigi, ritenendolo irrealizzabile e scrivendo: “se attuati efficacemente, gli impegni di azzerare le emissioni nette potrebbero limitare il riscaldamento a 2,2°C, più vicino all'obiettivo dei 2°C dell'Accordo di Parigi. Tuttavia, molti piani nazionali sul clima rimandano l'azione a dopo il 2030”.  Anche nella migliore delle ipotesi - che non è certo quella uscita dall COP26 - l’obiettivo dei 2° gradi rimaneva difficile da raggiungere. Alla COP26 si è deciso di rendere più ambizioso quell’obiettivo senza fare nulla di reale per rendere ragionevole l’ipotesi del suo raggiungimento.

Più che semplice blabla, questo è gettare un fumogeno per nascondere la realtà.

I sussidi ai combustibili fossili. Facciamo chiarezza

Già prima dell’inizio della COP26 avevamo indicato nei sussidi ai combustibili fossili, uno dei nodi più difficili da districare. Il documento finale riporta questo invito ai paesi per "accelerare gli sforzi verso l'eliminazione graduale dell'energia a carbone non abbattuta e dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili". 

Per chiarire, le "unabated fossil fuels" di cui parla il documento, sono quei combustibili fossili le cui emissioni di gas serra CO2 non sono abbattute attraverso tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (Carbon capture and Storage, Ccs), ma il punto cruciale è quello che riguarda la “riduzione” dei “sussidi inefficienti” ai combustibili fossili. Molti si sono soffermati sul fatto che - causa pressione di India e Cina - il termine inizialmente scelto di “eliminazione” dei sussidi, sia stato sostituito da “riduzione”. Ma la parola chiave non è quella, la parola chiave è “inefficienti”. 
La vaghezza di questo termine, infatti, è lo scudo dietro cui si nascondono tutti, non solo India e Cina. 

Ogni anno, i governi di tutto il mondo versano circa mezzo trilione di dollari per abbassare artificialmente il prezzo dei combustibili fossili - più del triplo di quanto ricevono le energie rinnovabili. Questo nonostante le ripetute promesse dei politici di porre fine a questo tipo di sostegno, comprese le dichiarazioni dei gruppi di nazioni G7 e G20. Guarda caso, infatti, la promessa di eliminare tali sussidi è già stata fatta. E mai mantenuta.
Questo proprio per via di quella parolina magica “inefficienti” [1].

Per darvi una rapida panoramica questi sussidi sono tipicamente di 2 forme. Una è quella tipica dei paesi più sviluppati e consiste nella riduzione di tasse o nel finanziamento diretto per ridurre il costo di produzione e trasporto dei combustibili fossili. L’altra è quella tipica dei paesi in via di sviluppo e consiste nella riduzione artificiale dei prezzi al consumo. C’è poi il caso dei paesi produttori del Medio Oriente che considera questi sussidi come un modo per permettere a tutti i propri cittadini di beneficiare della ricchezza generata dalle proprie risorse di combustibili fossili.

Eliminare questi sussidi è difficile e faticoso, ma è addirittura impossibile se si lascia agli stati la possibilità di nascondersi dietro il dito di quella vaga definizione. Tanto vaga che, per fare un esempio, l'IISD calcola che la Gran Bretagna abbia speso 16 miliardi di dollari all'anno per sostenere i combustibili fossili tra il 2017-19, ma la posizione del governo al riguardo è che non esista alcun sussidio inefficiente da rimuovere.

(Se desiderate un approfondimento sul tema scrivetemi pure a t.ciuffoletti@treedom.net).

Le trattative e il gioco delle parti

Intervistato subito dopo la fine della COP, il ministro italiano alla Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato "L'impianto del vertice va ripensato”, con 125 stati tra piccole isole e grandi colossi, ha spiegato il ministro, "trovare un compromesso, in un unico risultato valido per tutti è quasi impossibile".
Anche questo aspetto era stato segnalato nello scorso articolo, ricordando l’esperienza fatta seguendo i vertici internazionali del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio). In questo senso la posizione del ministro Cingolani è del tutto condivisibile, ma con alcuni chiarimenti. 

Il caso della lotta ai sussidi per fonti fossili è un esempio lampante di come il gioco delle parti di scaricare su alcuni paesi (India in particolare) tutta la responsabilità della debolezza del documento finale è un espediente tattico, che nasconde la voglia di business as usual che spesso si annida dietro i grandi proclami dei capi di stato delle nazioni più sviluppate.

Al riguardo una nota ulteriore sulle emissioni totali dell’India, che sì, sono molto elevate. Ma se andiamo a fare un calcolo delle emissioni per persona, la questione cambia (vedi i grafici seguenti). Allo stesso modo, un’analisi che tenga conto di una prospettiva storica in materia di emissioni, cambia il peso avuto dai paesi più sviluppati nel corso del secolo passato. 

 

Più in generale, tuttavia,un sistema come quello delle COP permette a tutti di fare grandi proclami, ma di avere anche grandi alibi, nel mentre che si continua - ad esempio - non solo a sussidiare le fonti fossili, ma anche a programmarne il loro incremento per il futuro.

Un fiume di denaro

Sul quotidiano italiano La Repubblica, il commentatore Francesco Guerrera notava un aspetto che tuttavia è importante rilevare e che riporto con le sue parole “Per ora, i fondi legati all’Esg (environmental, social, governance), ovvero investimenti responsabili, sono intorno ai 38.000 miliardi di dollari ma nel 2025 raggiungeranno 53.000 miliardi, quasi un terzo di tutti i patrimoni gestiti.

Per trasformare questa marea di denaro in un circolo virtuoso in cui gli enormi fondi vengono distribuiti dove ce n’è più bisogno, o dove i governi sono particolarmente recalcitranti come l’India e la Cina, ci sarà bisogno di regole chiare”.

In conclusione

La spinta al cambiamento globale per ora si arena nel nulla di fatto della COP26, ma c’è sotto la cenere la spinta della finanza, così come c’è, sempre più forte, la spinta dell’opinione pubblica, di tante associazioni e anche di una parte del mondo economico.
Se è lecito conservare della fiducia in scelte che possano essere più vincolanti in futuro, queste passano proprio da qui e dalla diffusione di una consapevolezza critica, che sappia farsi sempre più attenta e organizzata.

In fondo, anche noi - e lo stesso vale per tante realtà come noi - non siamo qui per caso.

[1] Per chi voglia approfondire il tema, suggeriamo una visita attenta sul sito della Global Subsidies Initiative IISD.

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