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Messico | Le mani dei narcos sugli avocado e la rivolta delle comunità
ago 05, 2025 | scritto da: Tommaso Ciuffoletti
Il boom globale nel consumo di avocado ha trasformato la regione montuosa del Michoacán, nel sud-ovest del Messico, in un centro produttivo che alimenta il 75% degli avocado consumati negli Stati Uniti. Un successo globale che però ha avuto ricadute tremende a livello locale: deforestazione e tagli illegali, sfruttamento delle terre collettive e aumento della presenza dei cartelli. La situazione ha portato alla ribellione di alcune comunità locali, che hanno scelto di armarsi contro i narcos e in alcuni casi hanno deciso di coltivare avocado solo in sistema agroforestale. Per continuare ad averne benefici economici, ma senza mettere tutto questo in conto all'ambiente.
Una vicenda esemplare raccontata da un reportage di Agustìn del Castillo e Fred Pearce su YaleEncironment360 e che vale la pena conoscere per capire come si possa trovare un equilibrio tra le opportunità offerte dal commercio e la assoluta ed inderogabile necessità di preservare il proprio ambiente. Il tutto mettendo al centro le comunità locali.
La doppia faccia del boom dell’avocado
Negli ultimi 25 anni il consumo statunitense di avocado è quintuplicato, generando una domanda stremante per il territorio di origine di questo frutto: il Messico. Il paese centroamericano detiene oggi il ruolo di principale produttore mondiale, con una superficie coltivata che è nell'ultimo decennio è quasi triplicata fino a circa 400.000 acri solo nello stato di Michoacán.
Tutto questo è avvenuto ad un costo sociale ed ambientale altissimo:
--> Molte nuove piantagioni sono state stabilite su terre forestali collettive (ejidos), senza alcuna autorizzazione legale dal 1990 a oggi.
--> Circa un quarto della produzione di avocado in Michoacán proviene da terreni deforestati illegalmente.
--> Coltivare in modo intensivo l'avocado richiede grandi quantità d'acqua, per questo in Michoacan consumano fino a 75.000 galloni d’acqua per acro, prosciugando sorgenti e fiumi locali.
Ma soprattutto, dove arriva il guadagno, arrivano i cartelli: gruppi armati infiltrano il commercio con estorsioni, rapine e pagamento tangenti. Secondo Climate Rights International, in molte zone chi si oppone viene minacciato di morte.
La risposta indigena
Cherán e l’insurrezione silenziosa
A Cherán, comunità Purépecha nel cuore della Meseta Purépecha, la violenza ha innescato una rivoluzione locale nel 2011. Le donne hanno suonato le campane dell’alba, dando il segnale per un blocco delle strade piene di camion dei cartelli, gli uomini del villaggio hanno provveduto a tagliare tutte le gomme e ha minacciare gli autisti di non farsi più vedere. La comunità ha reagito impedendo l’accesso anche successivamente ai taglialegna, ha espulso con la forza polizia e funzionari corrotti e ha dichiarato autonomia amministrativa. Una scelta radicale, con ricorso alla minaccia dell'uso delle armi.
Oggi Cherán proibisce ogni piantagione commerciale di avocado (sono concesse non più di 10 piante per uso familiare) ed è una “isola verde” se paragonata a tanti terreni circostanti che invece sono stati dedicati esclusivamente alle piantagioni di avocado. I volontari di Cherán pattugliano le foreste armati e sequestrano motoseghe, attuano blocchi stradali, e si oppongono con fermezza a ogni tentativo di nuova colonizzazione del bosco.
Secondo Associated Press, il risultato è tangibile ed è segnato da un confine netto fra il bosco intatto di Cherán e la distesa di coltivazioni illegali tutto intorno, frutto di più di un decennio di autogestione comunitaria, diretta democrazia e impegno ambientale.
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Nuevo San Juan Parangaricutiro e un tentativo pacifico
Nella regione est, in località come Nuevo San Juan Parangaricutiro, le comunità indigene sperimentano invece un modello misto: coltivazione di avocado integrata con foreste di quercia e pino, certificata da Forest Stewardship Council e insignita dell’Equator Prize delle Nazioni Unite. Qua la pressione dei cartelli è meno forte e questo permette risposte che non devono usare la leva della forza per potersi realizzare.
Il principio di base è l’agroforestazione: foreste produttive (come il sistema messicano kuojtakiloyan) dove variegate specie vegetali convivono, riducendo la pressione sulla biodiversità e migliorando la resilienza climatica. Secondo i ricercatori della UNAM, Università nazionale autonoma del Messico, la gestione collettiva delle terre crea vere bioeconomie capaci di unire profitto e conservazione.
Questi sistemi permettono di ripristinare qualità del suolo, conservare habitat vitali come quelli delle farfalle monarca e mantenere l’accesso all’acqua, con benefici anche economici diretti per le comunità.
Minacce persistenti e azioni istituzionali
Nonostante gli esempi di scelte alternative, le tensioni restano alte. Attivisti come Alfredo Cisneros, che denunciavano la deforestazione e le pressioni per le coltivazioni di avocado, sono stati assassinati, segno di presenza ancora diffusa e interessata al business degli avocado da parte dei cartelli.
Sul fronte istituzionale, lo stato di Michoacán ha lanciato una certificazione ufficiale per identificare avocado “liberi dalla deforestazione”: il marchio si rilascia solo per piantagioni autorizzate e non deforestate dal 2018, monitorate attraverso immagini satellitari e controlli legali.
Tuttavia, molti sono coloro che ritengono tale sistema troppo debole, e basato più sulla buona volontà degli impremnditori, mentre migliaia di piantagioni illegali restano invisibili ai registri ufficiali.
Il confine fra sviluppo e distruzione
Sia il reportage di YaleE360 che altre fonti consultate, mostrano una frattura che si sta consumando silenziosa in Messico e potenzialmente questa potrebbe allargarsi anche oltre i confini del paese: la crescita incontrollata del mercato dell’avocado ha infatti scatenato un circolo vizioso fatto di deforestazione, consumo idrico, violenza, corruzione e sfruttamento.
Ma dalla stessa storia emergono proposte alternative: il rafforzamento delle comunità indigene, l’autogoverno locale, la coltivazione sostenibile, la certificazione agroforestale, la tutela del territorio come bene collettivo. Modelli come quelli di Cherán sono una risposta radicale e senza dubbio controvera, ma che fino ad ora ha portato risultati, San Juan dimostrano che ascoltare le comunità locali può salvare foreste e supportare economie inclusive e green.
Cosa significa piantare avocado con Treedom
Treedom è una Benefit Corporation nata in Italia nel 2010, che sostiene direttamente progetti agroforestali in collaborazione con agricoltori e comunità locali in America Latina, Africa e Asia. Ogni albero piantato è geolocalizzato, fotografato e monitorato nel tempo, offrendo trasparenza e risultati tangibili.
Treedom fornisce formazione, supporto tecnico e opportunità di reddito: i contadini sono coinvolti nella cura delle piante, spesso in associazioni o cooperative, e possono beneficiare dei frutti, della resina o del legno prodotto.
Il legame con ciò che succede in Michoacán? Anche le comunità P’urhépecha stanno coltivando un futuro sostenibile basato su un’economia verde e collettiva: piantare alberi con Treedom significa sostenere progetti coerenti con i principi di conservazione, autonomia e sviluppo locale espressi nell’articolo.
👉 Se credi che un’economia che rispetti le comunità indigene, il territorio e l’ambiente mondiale sia possibile, scegli di piantare un avocado o un altro albero con Treedom. Oltre a contrastare la desertificazione e l’emissione di CO₂, contribuirai concretamente a rafforzare modelli di sviluppo come quelli raccontati: dove comunità come Cherán decidono di prendersi cura della propria terra, e non lasciare che altri la distruggano.