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Dalla Smart City alla Smart Community

Scritto da Elisabetta Meconcelli | Jan 12, 2022 8:15:00 AM

Viviamo in un’epoca in cui le tecnologie sono sempre più accessibili ed il livello di interconnessione e digitalizzazione è crescente. Allora perché i progetti di smart city falliscono?

Il concetto di smart city nasce nei primi anni 2000 come strategia di progettazione urbana che integra tecnologie digitali e innovazione, per ottimizzare e migliorare le infrastrutture e i servizi ai cittadini rendendoli più efficienti. Questo si traduce anche in un miglioramento del loro impatto sull’ambiente. Infatti, il ruolo delle città è fondamentale, rappresentando circa il 75% delle emissioni di anidride carbonica, e il 55% della popolazione mondiale.
Il primo esempio di applicazione riconosciuto è Rio de Janeiro che dal 2009 in poi ha realizzato una serie di interventi che l’hanno portata ad aggiudicarsi i World Smart Cities Awards 2013. La città si è concentrata in gran parte sulla sicurezza, la prevenzione e gestione dei disastri, e la libertà di informazione attraverso open data.

Da qui il termine smart city è diventato sempre più diffuso, disegnando anche le politiche nazionali ed europee di sviluppo del tessuto urbano. Una diffusione tale che molte amministrazioni lo hanno utilizzato come strumento di marketing delle proprie politiche urbanistiche e di innovazione.
Questo trend internazionale si è tradotto in due grandi tendenze: la creazione da zero di nuove città ipertecnologiche e l’introduzione massiva di tecnologie digitali e innovative nei servizi urbani delle città già esistenti. Dapprima nel nome del progresso e recentemente come strumento di lotta al cambiamento climatico.

Per quando riguarda la realizzazione di nuove città, numerose smart city sono state o sono in costruzione in Cina, come ad esempio Xiong'an che nascerà un centinaio di km a sud-ovest di Pechino, ospiterà due milioni e mezzo di abitanti e dovrebbe attirare 380 miliardi di dollari di investimenti. Altri esempi sono NEOM una città futuristica da 500 miliardi di dollari per un milione di persone in costruzione in Arabia Saudita. La nuova capitale intelligente in costruzione vicino al Cairo che potrebbe ospitare 6,5 milioni di persone. Telosa, proposta da un ex dirigente di Walmart, sarà invece una città di 50.000 persone negli Stati Uniti occidentali.

Nonostante il nome promettente, a dieci anni dal primo esperimento, i progetti delle Smart City sono considerati nella maggior parte dei casi un fallimento o si sono scontrate con problemi pratici ed etici nella loro piena realizzazione.

Nel caso della costruzione di nuove città tecnologiche sono stati fatti investimenti multimiliardari che spesso sono risultati insoddisfacenti.  Ad esempio,  Masdar City ad Abu Dhabi ha abbandonato il suo master plan di smart city a causa di problemi finanziari iniziati nel 2008 e proseguiti perché il costo di alcuni aspetti della città era molto più alto del previsto. Oppure Songdo, una smart city completata con una popolazione prevista di 170.000 persone in Corea del Sud che non è stata in grado di riempire i suoi edifici con una capienza di 260.000 cittadini. Songdo viene spesso descritta dagli stessi abitanti e frequentatori come una città fantasma, fredda, impersonale.

A questi aspetti economici si aggiungono problemi di natura etica e sociale. Spesso le nuove città sono costruite in ambienti disabitati snaturando paesaggi ed ecosistemi rendendoli dei luoghi alieni rispetto allo spazio in cui sono inserite. Inoltre, sono luoghi in cui mancano o sono minimi tutti quegli elementi di storia, cultura e spiritualità tipici delle città “tradizionali”.

Si propongono delle città magnifiche, se vogliamo perfette, ma poi le persone non vogliono viverci perché quello che cercano è anche e soprattutto una comunità. 


Un elemento controverso è poi quello del controllo, infatti queste città propongono elementi di monitoraggio e connettività totale. Come Woven City, sviluppata da Toyota, in cui si prevede che le abitazioni monitorino lo stato di salute degli occupanti, o ad esempio come già avviene in Cina l'utilizzo massivo di sistemi di videocamere, riconoscimento facciale e altre tecnologie sensoristiche per la gestione della sicurezza pubblica. Aspetti che pongono diversi interrogativi sul tema della privacy e della libertà individuale non solo rispetto ai governi, ma anche delle aziende che detengono le tecnologie.

Per ciò che riguarda la trasformazione delle città “tradizionali” in città intelligenti si apre uno scenario promettente, con sperimentazioni che hanno evidenziato gli elementi di successo e fallimento di politiche urbanistiche con al centro l’innovazione tecnologica.

Singapore, Londra e Barcellona sono tra le città che guidano il mondo nell'adozione di tecnologie intelligenti per gestire in modo più efficiente le loro infrastrutture e diventare più verdi. 
A Londra la roadmap chiamata Smarter London Together, punta alla trasformazione digitale della città perseguendo alcuni macro-obiettivi, come la cybersecurity, le competenze digitali o la gestione ottimizzata dei big data della città. Il piano poi prevede più servizi di connettività più diffusa, ed ha istituito la figura del London Office for Data Analytics e del Chief Digital Officer favorirà la digitalizzazione. 
A Barcellona si analizzano dati che arrivano da edifici, strade e grandi infrastrutture, per consentire la pianificazione ottimale delle risorse e dei progetti urbani. Grazie al progetto “District of Innovation” sfrutta le tecnologie digitali per perseguire un modello di città più sostenibile e smart grazie a centinaia di chilometri di fibre ottiche, il Comune utilizza sensori per tenere monitorato l’inquinamento acustico e dell’aria, il traffico e la mobilità.

Un recente rapporto della Commissione europea, Analysing the potential for wide scale roll out of integrated Smart Cities and Communities solutions, ha esaminato 300 esempi di soluzioni smart in città e comunità di tutto il mondo, individuando buone pratiche e identificando i casi in cui le strategie innovative non hanno funzionato.

Da qui è emerso che gli errori “fatali” per le città intelligenti sono “politici” come l’esclusione dei cittadini e i loro bisogni dai processi di innovazione, concentrandosi spesso sull'aspetto tecnologico e meno sul beneficio effettivo per la comunità, e la tendenza a creare visioni utopistiche senza tradursi in piani operativi concreti da parte delle amministrazioni. A questi si aggiungono l’integrazione inefficiente tra tecnologie esistenti e nuove date anche da una superficiale pianificazione e la mancata conoscenza delle abitudini dei propri cittadini e di come questi utilizzano e condividono una data tecnologia.

Anche nel caso delle città “tradizionali” intelligenti rimangono dei punti irrisolti, come il rispetto della privacy, la sicurezza dei dati dei cittadini, il ruolo delle aziende tecnologiche, le dinamiche di controllo e monitoraggio delle persone da parte delle autorità. Sono tutte questioni intrinsecamente legate alle nuove tecnologie, ma che in un processo condiviso con la cittadinanza possono essere portate alla luce e trattate in maniera consapevole e trasparente.

Con Treedom ci siamo raffrontati con il tema dell’utilizzo della tecnologia nelle politiche urbane attraverso il progetto Prato Urban Jungle. Un’iniziativa finanziata dal programma europeo Urban Innovative Action e che mira a promuovere la progettazione urbana creativa e visionaria per re-naturalizzare i quartieri di Prato in modo sostenibile e socialmente inclusivo. 
In questo percorso Treedom ha supportato il Comune di Prato a realizzare una piattaforma digitale di governance del territorio (chiamata Prato Forest City), che permettesse agli attori del territorio di partecipare al piano di forestazione urbana di Prato

L’innovazione non è nella tecnologia di per sé ma nel suo utilizzo. Infatti, la piattaforma digitale creata è il risultato di un processo di ascolto delle esigenze dell'amministrazione e del tessuto sociale che ha portato alla realizzazione di uno strumento accessibile ai cittadini, di facile utilizzo per il Comune, a basso costo sia nella realizzazione che nel mantenimento.


Questo si traduce nella possibilità per la città di sperimentare una soluzione digitale che può in futuro vedere delle evoluzioni. Il Comune come una startup ha creato un minimum viable product ovvero un servizio con caratteristiche sufficienti per essere utilizzabile dagli utenti, i quali possono quindi fornire feedback per lo sviluppo futuro del servizio stesso. Facilitando di fatto l’adattamento del servizio alle esigenze sempre in evoluzione.

Alla fine di questa analisi, cosa possiamo portare con noi da questi dieci anni di smart city? Rimane enorme il potenziale che le tecnologie possono avere sulla trasformazione delle città in termini di sostenibilità, resilienza ed equità, ma forse ci siamo concentrati troppo sulla parola smart.  La smania di utilizzare la tecnologia ci ha fatto distogliere dall’altro aspetto fondamentale che è quello della comunità. Elementi come la cultura, la visione, la consapevolezza e la volontà di rendere il contesto urbano più semplice e vivibile per il cittadino sono fondamentali per una reale trasformazione delle città.

Per creare una smart city ci vuole una smart community.

Una comunità consapevole del modello di città che vuole essere ed un piano concreto per raggiungere i suoi obiettivi, anche attraverso le nuove tecnologie che sono lo strumento e non il fine. Questo presuppone un processo politico e organizzativo profondo, il coinvolgimento del territorio, l’ascolto e la gestione delle esigenze, la pianificazione delle azioni, un’analisi approfondita dell’impatto sui cittadini, sui loro diritti, sugli spazi della città. 

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