Lavoriamo in Nepal da molti anni e siamo osservatori interessati a quanto sta accadendo nel paese. Proteste partite dalle fasce più giovani della popolazione nepalese, si sono presto allargate a diventare una vera e propria rivolta che sta segnando un punto di svolta. Inevitabile per un paese che era rimasto troppo a lungo in un incastro tra l'immobilità delle istituzioni e la tensione al cambiamento richiesta da vari settori della società nepalese. Noi continuiamo a lavorare per accompagnare, nel nostro piccolo, un cambiamento positivo e questo è un report per condividere con voi note, dati, informazioni e riflessioni.
Negli ultimi giorni il Nepal è stato attraversato da una delle ondate di protesta più significative della sua storia recente. L’innesco è stato il divieto governativo all’uso dei social media, percepito da molti giovani come un tentativo di censura. Ma la miccia ha acceso un malcontento molto più profondo: la frustrazione per la corruzione diffusa, il nepotismo e l’assenza di opportunità economiche. Le manifestazioni, guidate soprattutto dalla Generazione Z, si sono rapidamente trasformate in scontri violenti che hanno causato decine di vittime e portato alle dimissioni del Primo Ministro. La revoca del bando sui social non è bastata a placare una rabbia che riguarda la qualità della governance e la mancanza di fiducia nelle istituzioni. Questa crisi rivela la fragilità strutturale del sistema politico nepalese e la crescente distanza tra le aspettative di una società giovane e dinamica e una classe dirigente percepita come distante e autoreferenziale.
Treedom lavora in Nepal da anni, collaborando con comunità locali per piantare alberi che non solo contribuiscono alla riforestazione ma generano reddito, cibo e resilienza per le famiglie. In un paese dove le sfide socioeconomiche sono complesse, i nostri progetti rappresentano una forma concreta di sviluppo sostenibile, capace di integrare benefici ambientali e sociali.
Il Nepal è un paese montuoso e senza sbocco sul mare, incastonato tra India e Cina, due giganti che ne influenzano inevitabilmente le traiettorie politiche ed economiche. La popolazione, oggi intorno ai 31 milioni di abitanti, è giovane e dinamica, con un’età mediana che sfiora i 25 anni. Questo dato demografico è un elemento centrale: una generazione che sogna un futuro diverso, che spinge verso il cambiamento ma che spesso si trova di fronte a ostacoli strutturali.
L’economia nepalese è fragile e vulnerabile. Le rimesse degli emigrati costituiscono oltre un quarto del PIL, rendendo il paese fortemente dipendente dal lavoro svolto all’estero. L’agricoltura, che impiega ancora circa due terzi della popolazione attiva, soffre di scarsa produttività e di un’esposizione crescente agli effetti del cambiamento climatico: eventi estremi, siccità e inondazioni mettono a rischio la sicurezza alimentare. Il settore industriale è limitato, mentre il turismo rappresenta una fonte cruciale di entrate, ma altrettanto sensibile a shock politici, sociali o naturali.
Politicamente, il Nepal è una repubblica federale parlamentare che ha visto negli ultimi decenni un susseguirsi di trasformazioni radicali: dalla monarchia assoluta a un sistema multipartitico, fino all’adozione di una nuova costituzione nel 2015. Tuttavia, l’instabilità rimane cronica: i governi cadono di frequente, le coalizioni si frammentano, e la corruzione mina la fiducia dei cittadini. La distanza tra principi proclamati e realtà vissuta continua a essere uno dei nodi più dolorosi.
Demograficamente, il potenziale è immenso: un paese giovane può essere un motore di crescita e innovazione. Ma senza un sistema capace di offrire prospettive concrete di lavoro e partecipazione, quella stessa energia rischia di trasformarsi in disillusione e conflitto. È proprio in questo spazio di attesa e frustrazione che le proteste di questi giorni trovano la loro radice.
Il 2025 segna dieci anni dal devastante terremoto del 25 aprile 2015, che causò quasi 9.000 vittime e distrusse infrastrutture vitali, scuole, ospedali, case. Fu una ferita profonda, che ancora oggi rimane impressa nella memoria collettiva del paese. Quel sisma non fu solo una tragedia naturale, ma anche una lente che rese visibili tutte le fragilità strutturali del Nepal: la vulnerabilità delle sue città, la lentezza dei soccorsi, l’assenza di un piano di ricostruzione efficace.
Negli anni successivi, il percorso di ricostruzione è stato lento e accidentato, spesso frenato da inefficienze burocratiche e corruzione. Nel frattempo, il quadro politico ha continuato a essere instabile, con governi di breve durata e una democrazia giovane messa costantemente alla prova. L’adozione della nuova costituzione nel 2015 fu salutata come un passo verso la stabilità, ma la distanza tra norme e realtà rimane ampia. Le tensioni etniche, le diseguaglianze e le aspirazioni di una generazione sempre più connessa con il mondo esterno hanno alimentato un fermento che non si è mai sopito del tutto.
Le proteste del 2025 si inseriscono in questa traiettoria: non sono un episodio isolato, ma la manifestazione di una transizione politica e sociale non ancora compiuta. A dieci anni dal terremoto, il Nepal continua a essere un paese in bilico: tra resilienza e vulnerabilità, tra speranza e delusione, tra radici profonde e un futuro ancora da costruire.
Per noi di Treedom, lavorare in Nepal significa confrontarci con un contesto complesso e mutevole. I nostri progetti si inseriscono in una realtà segnata da difficoltà strutturali, ma anche da una straordinaria vitalità sociale. Operare in paesi in transizione ci ha insegnato che la sostenibilità non è mai solo ambientale, ma anche sociale e politica. Essere una B Corp attiva in tanti paesi significa misurarsi con sfide diverse, spesso difficili, ma anche coltivare la fiducia che piccoli gesti concreti possano contribuire a un cambiamento positivo. In Nepal, come altrove, la nostra scelta è quella di continuare a piantare alberi, intesi non solo come strumenti ambientali, ma come simboli di resilienza e speranza per le comunità che li accolgono.