L'impatto delle acque reflue sugli ecosistemi marini

gen 10, 2022 | scritto da:

Una ricerca condotta dal dott. Cascade Tuholske, geografo presso l'Earth Institute della Columbia University, spiega come ancora una volta la presenza dell’uomo possa influire negativamente sugli ecosistemi marini, in particolare: acque reflue e scarti dell’industria agricola.

È freddo un pomeriggio di novembre e Tommaso Ciuffoletti, Content Manager di Treedom, mi chiama: “Ciao Giacomo, ho un articolo per te. Che ne dici se nel prossimo articolo del Treedom Blog parliamo di acque reflue, di azoto e di agenti patogeni?”
Accetto. Subito. Non perché in questi argomenti ci “sguazzi”, ma perché sento che ancora una volta siamo di fronte a qualcosa che valga assolutamente la pena raccontare, soprattutto ad un pubblico come il nostro: attento all’ambiente. Se mi seguirete in questa breve narrazione scopriremo insieme il perché.

acque reflue

Cosa sono le acque reflue?

Sono le acque di scarico, quelle utilizzate nelle attività umane, domestiche, industriali o agricole. Ponete attenzione a quest’ultimo aggettivo, “agricole”. Tornerà poco più avanti.

Dove finiscono le acque reflue?

Sembra banale, ma ricordiamolo: in mare. Ed è proprio qui che creano i maggiori svantaggi per gli ecosistemi e per la vita marina in generale.
Il perché è presto detto. Le acque reflue sono ricche di agenti patogeni, così come di azoto.

L’azoto (ed il fosforo, in particolare) sono elementi chimici tipicamente usati come fertilizzanti, la loro presenza in quantità eccessive nei luoghi in cui vengono scaricate le acque reflue, possono provocare la cosiddetta eutrofizzazione delle acque. In altre parole l’eccessiva presenza di nutrienti, favorisce la proliferazione di alghe microscopiche che, a loro volta, non essendo smaltite dai consumatori primari, determinano una maggiore attività batterica; aumenta così il consumo globale di ossigeno, e la mancanza di quest'ultimo provoca alla lunga la morte dei pesci.

Ma da dove arriva tutto questo azoto?

E qui torna la parola “agricole”, ve l’eravate appuntata, giusto?
Fino ad oggi si poneva l’accento soprattutto sull’attività agricola e sugli scarti che quest'industria rilascia prima nei fiumi, poi nei mari: fertilizzanti, pesticidi e ad altri prodotti chimici utilizzati nelle coltivazioni intensive.

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Cascade Tuholske, geografo presso l'Earth Institute della Columbia University, ribalta però la comune concezione di inquinamento a base di azoto che fino ad ora guidava la ricerca e le “soluzioni”. Pubblica uno studio su PLOS One, spostando l’attenzione sugli insediamenti umani e sui liquami di scarto prodotti dalla popolazione mondiale. In particolare, stabilisce che le acque reflue umane raggiungono gli oceani di tutto il mondo da circa 135 mila punti. Soltanto 25 di essi però, (solo 25!) sono quelli dai quali deriva il 46% dell’azoto totale riversato in mare.

Non solo. A livello globale, le acque reflue che entrano in mare contengono circa il 40% in più di azoto rispetto all'inquinamento dovuto alle acque che trasportano nutrienti agricoli. 
L'azoto proveniente dalle acque reflue umane raggiunge circa il 58% delle barriere coralline del mondo e l'88% delle praterie di alghe, creando così zone “morte” (assenza parziale o totale di ossigeno in acqua e, dunque, di vita). 

Perché tutto ciò ci interessa?

Perchè il team di ricercatori guidato da Cascade Tuholske sottolinea ancora una volta quali possano essere le implicazioni umane sull’ambiente, permettendo così a governi, ricercatori e gestori delle acque reflue possano indirizzare al meglio gli sforzi per trovare, al più presto, una soluzione.

Nel frattempo, se volete conoscere una soluzione rapida per depurare l’acqua leggete qui: l’albero di Moringa vi sorprenderà con le sue proprietà

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