Madagascar: piazze in fiamme, fragilità economiche e un futuro da ricostruire

ott 15, 2025 | scritto da:

Il Madagascar, isola di incredibile biodiversità e bellezza dove lavoriamo da tanti anni, si trova oggi a un bivio storico. Le piazze ribollono di giovani che chiedono dignità e diritti, mentre un’unità militare d’élite decide le sorti del potere. La politica, l’economia e l’ambiente si intrecciano in un nodo complesso, dove vecchie cicatrici storiche e fragilità strutturali emergono con forza.

Questo articolo racconta gli eventi recenti, analizza la memoria dei colpi di stato passati, ricostruisce il contesto economico e sociale e infine si sofferma su come le iniziative di Treedom sul territorio possano rappresentare una speranza concreta. Perché in un momento di incertezza, piantare un albero significa dare respiro al futuro e radici alla comunità.

Cronaca: cosa è successo

Le proteste, iniziate alla fine di settembre e guidate in larga parte da giovani e movimenti “Gen Z”, sono esplose per richieste immediate di miglioramento dei servizi essenziali (elettricità, acqua), di misure contro la corruzione e per opportunità economiche che l’isola fatica a offrire.
Di fronte alle piazze, un’unità militare d’élite — la CAPSAT — ha rifiutato di reprimere i manifestanti e ha progressivamente assunto un ruolo politico; nei giorni successivi il Parlamento ha votato l’impeachment del presidente Andry Rajoelina, che ha abbandonato il paese o si è rifugiato all’estero per motivi di sicurezza.
La proclamazione di un consiglio di transizione guidato dai militari ha sospeso o sciolto molte istituzioni, con l’annuncio di un periodo transitorio che potrebbe durare sino a nuove elezioni.

Le celebrazioni per le dimissioni del presidente si mescolano a timori diffusi: la popolazione insiste perché il potere torni presto ai civili, mentre analisti e opinione pubblica temono ripercussioni sulla governance e sugli aiuti internazionali.

 

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Un passo indietro: la memoria del 2009

Per comprendere la crisi attuale, è utile tornare al 2009, anno che segna uno spartiacque nella storia politica del Madagascar. Allora, lo stesso Rajoelina era dall’altra parte della barricata: giovane sindaco di Antananarivo, guidava le proteste contro il presidente Marc Ravalomanana, accusato di autoritarismo e favoritismi economici.
La scintilla di quella rivolta fu duplice: la chiusura della sua emittente televisiva Viva TV e un accordo con la multinazionale sudcoreana Daewoo che prevedeva l’affitto di 1,3 milioni di ettari di terra (quasi metà della terra arabile del paese) per 99 anni.

Il 7 febbraio 2009, le guardie presidenziali aprirono il fuoco sui manifestanti diretti verso il palazzo, uccidendo almeno 28 persone. Quel massacro ribaltò gli equilibri del movimento: pochi giorni dopo, la stessa CAPSAT si ammutinò, sostenendo Rajoelina e costringendo Ravalomanana alle dimissioni.

Sedici anni dopo, la storia sembra chiudere un cerchio amaro.
Il presidente che nel 2009 prometteva democrazia e sviluppo è oggi accusato delle stesse derive autoritarie che allora aveva denunciato. E ancora una volta, la CAPSAT diventa ago della bilancia, rifiutandosi di eseguire ordini repressivi e voltando le spalle a colui che aveva contribuito a portare al potere.
Il passato non solo si ripete, ma lo fa con un’ironia crudele: la stessa forza che aveva aperto la strada alla “nuova democrazia” oggi la chiude, accusandola di tradimento verso il popolo e di distanza dalle sue necessità quotidiane.

Il contesto economico e sociale: perché la rabbia è esplosa ora

Il Madagascar è un paese straordinario, ma fragile.
La sua biodiversità — una delle più ricche al mondo — convive con un’economia tra le più povere del pianeta. Secondo la World Bank, oltre il 75% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
L’economia è trainata da agricoltura e minerali, ma con infrastrutture deboli, reti elettriche intermittenti e scarsità d’acqua che compromettono la produttività.

Il cambiamento climatico amplifica tutto: cicloni sempre più frequenti, siccità prolungate e perdita di suoli agricoli stanno mettendo in ginocchio intere comunità rurali.
Nel 2024 il paese ha subito una delle peggiori crisi alimentari degli ultimi decenni, con milioni di persone in insicurezza alimentare.

Dal lato economico, il rapporto Coface segnala un rischio paese “molto elevato”: instabilità politica, inflazione, e difficoltà di accesso al credito rendono complicato avviare o mantenere attività produttive sostenibili.
La disoccupazione giovanile, la mancanza di prospettive e la percezione di corruzione hanno trasformato il malcontento in un movimento sociale ampio, che oggi chiede dignità prima ancora che democrazia.

Impatti e scenari

Nel breve periodo, la priorità è proteggere la popolazione civile e garantire la continuità dei progetti di sviluppo e cooperazione.
Le interruzioni degli aiuti internazionali, la sospensione dei fondi e la difficoltà di approvvigionamento potrebbero aggravare ulteriormente una situazione economica già critica.
Nel medio periodo, si delineano tre scenari:

  1. Ritorno rapido alla transizione civile, con il sostegno di organismi internazionali.

  2. Prolungamento del governo militare, con rischio di isolamento diplomatico.

  3. Instabilità diffusa e persistente, che potrebbe compromettere sicurezza alimentare e conservazione ambientale.

In un contesto simile, la capacità delle comunità locali di auto-organizzarsi e trovare mezzi di sussistenza alternativi diventa fondamentale.

Il punto di vista di Treedom: radici di resilienza

In Madagascar, Treedom è attiva dal 2013, con progetti che puntano a piantare alberi, creare vivai e sostenere le comunità rurali attraverso pratiche agroforestali sostenibili.
Nelle aree di Vohiday e Ambositra, Treedom lavora con partner locali come Tsiryparma, promuovendo la tutela del suolo, la diversificazione agricola e la creazione di reddito attraverso coltivazioni che convivono con la foresta.

In tempi di instabilità politica, questi progetti assumono un valore ancora più profondo: rappresentano una forma concreta di resilienza, un modo per garantire sicurezza alimentare, reddito e speranza in contesti dove la fiducia nelle istituzioni vacilla.
Piantare un albero, in Madagascar, non è solo un gesto ambientale: è un atto di fiducia nel futuro.

Treedom continuerà a supportare le comunità locali e a mantenere viva la collaborazione con partner e agricoltori, perché la sostenibilità, quando mette radici nel territorio, è anche una forma di stabilità sociale.

Conclusione

Il Madagascar attraversa un momento delicato, in cui si intrecciano politica, economia e ambiente.
Ma dentro questa complessità, c’è anche la possibilità di ripartenza.
Perché le crisi, quando costringono a guardare in faccia le fragilità, possono diventare punti di svolta.

Treedom continuerà a essere presente sul campo, con la convinzione che ogni albero piantato, ogni comunità sostenuta e ogni pezzo di foresta protetta siano anche un gesto di pace e di futuro condiviso.

 

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