Piantare nuovi alberi in zone colpite da incendi? Non è così facile come sembra. Ci sono leggi e ci sono delle ragioni da conoscere. Ve le presentiamo qui.
Al verificarsi, purtroppo consueto, di nuovi incendi in Italia, da più parti si levano voci che chiedono interventi di rimboschimento nelle zone colpite. Sono voci - possiamo dirlo dal nostro osservatorio di azienda impegnata in attività di piantumazione da ormai 11 anni - sempre più frequenti e diffuse e rappresentano esse stesse un primo dato da registrare: l’accresciuta sensibilità ambientale da parte dell’opinione pubblica. Questo dato potrebbe essere sottovalutato o trascurato, ma è invece importante sottolinearlo, perché rappresenta una delle (purtroppo poche) ragioni di ottimismo per il futuro.
Occorre tuttavia fare un po’ di chiarezza in merito alla effettiva possibilità di piantare nuovi alberi in aree colpite da incendi. Non è infatti così semplice come potrebbe sembrare ed è anche opportuno cogliere la ratio delle leggi in materia e le difficoltà pratiche che si presentano. Perché un incendio impiega pochissimo tempo per distruggere. Per riparare sono necessari invece lunghi anni.
La più importante norma da considerare è la legge nazionale per la protezione dagli incendi n. 353/2000. Questa, all’articolo 10, specifica chiaramente che le zone boscate colpite da incendio non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni ed è inoltre vietata per dieci anni la realizzazione di edifici per insediamenti civili ed attività produttive, così come, sempre per 10 anni, sono vietati pascolo e caccia.
Tale norma intende scoraggiare gli incendi dolosi per fini speculativi. Si tratta - di fatto - di un tentativo di prevenire gli incendi che, è opportuno ricordarlo, nella gran parte dei casi sono di origine dolosa (e che spesso rimangono impuniti) e che si concentrano storicamente in alcune regioni italiane.
Per dare un quadro della situazione è utile rifarsi ai dati forniti dal Ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, nella sua relazione alla Camera del 5 agosto scorso.
“Gli incendi dolosi e colposi nel 2020 sono stati 4.233 e hanno bruciato più di 62mila ettari, le persone denunciate sono state 552, 18 gli arrestati. Rispetto all’anno precedente [..] la superficie bruciata è aumentata del 18%, le persone denunciate sono state il 25% in più, le persone arrestate l’80% in più (segno che nel 2019 ne sono state arrestate davvero poche ndr)
“Il 55% della concentrazione degli incendi dolosi e colposi è avvenuto su 4 regioni: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia”.
Gli incendi in queste regioni hanno bruciato 51mila ettari dei 62mila complessivi, il che dà un’idea più precisa del fenomeno e del perché scoraggiare gli incendi dolosi con previsioni di legge come quelli della 353/2000 appare del tutto sensato anche se va detto che la norma è in vigore da oltre 20 anni eppure gli incendi dolosi proseguono. Perché? Probabilmente un punto dolente è quella parte della norma che affida ai comuni il compito di censire i terreni colpiti dagli incendi, su cui interverranno i blocchi previsti dalla legge. Un’attività non sempre facile (ma oggi ci sono sistemi di rilevazione satellitare molto semplici e alla portata di tutti) e forse anche influenzabile da interessi non sempre legittimi e leciti …
La legge 353 è chiara anche in materia di rimboschimento delle aree colpite da incendio: “le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell’ambiente” sono vietate per 5 anni.
Anche questa previsione di legge va inquadrata nello spirito più generale della norma, tuttavia è necessario un di più di attenzione. A partire dal segnalare che lo stesso ministro Cingolani, durante la sua relazione alla Camera, ha notato come forse questa norma sia da rivedere proprio in questa parte.
Inoltre, il riferimento ad attività di rimboschimento sostenute con risorse finanziarie pubbliche farebbe pensare che, laddove le risorse siano private, ci possano essere minori vincoli, ma così non è (se non per casi che interessano porzioni di territorio veramente piccole). Infatti, anche interventi finanziati da risorse private che intervengono su porzioni di territorio più ampie, necessitano di una serie di autorizzazioni specifiche.
Se può sembrare una complicazione burocratica, va tuttavia considerato che rimboschire un’area è un lavoro complesso, che richiede analisi, pianificazione, scelta corretta degli alberi da piantare e questi a loro volta devono essere disponibili nei vivai e, laddove non ve ne sia disponibilità, devono essere prodotti. Si devono inoltre, spesso, rispettare anche normative sul paesaggio ed in alcuni casi svolgere anche Valutazioni d’Impatto Ambientale.
Ecco perché chiamare in causa Treedom per correre a piantare nuovi alberi è comprensibile, ma non è la cosa più sensata da fare. Semplicemente perché il quadro normativo e la sua ratio prevedono un percorso più lungo. Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo, in caso di incendi la priorità è una e molto chiara: estinguerli e vigilare perché non se ne verifichino altri. Poi c’è da aiutare coloro che hanno perso tutto. Aiutare le persone e le aziende. Fare una stima dei danni, valutare i progetti di riforestazione possibili, nelle giuste aree con i giusti alberi.
Noi continuiamo a piantare alberi nei nostri progetti e se volete unirvi a noi non può che farci piacere. E speriamo che questo articolo sia stato utile a fare chiarezza. Così come speriamo che l’ottimismo segnalato in apertura, dovuto ad una maggiore e diffusa sensibilità ambientale, sia la base per costruire un futuro in cui non dovremo più occuparci di incendi …