Un pianeta in fiamme

ago 06, 2021 | scritto da:

Un'analisi approfondita sui grandi incendi. Un fenomeno globale che ci riguarda tutti e che dobbiamo sforzarci di capire per poterlo contenere.

L’estate, almeno nell’emisfero nord, è iniziata da poco più di un mese, ma già numerosi incendi sono stati protagonisti delle cronache di vari paesi, dal Canada all’Italia, passando per la Turchia e la Finlandia.

Negli anni, su queste pagine, ci siamo purtroppo occupati in varie occasioni di incendi, cercando sempre di accompagnare una rapida cronaca dei fatti, all’analisi di dati reperibili ed affidabili. Questo è un rapido, ma speriamo utile sommario, per orientarsi su alcuni degli aspetti centrali di quello che purtroppo è un tema sempre più centrale nel mondo in cui viviamo.

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Dove colpiscono i grandi incendi

Se da un lato c’è chi fa notare che la storia delle estati, ad ogni latitudine, è sempre stata caratterizzata da incendi, ci sono alcuni nuovi fattori da considerare. Già in questo articolo del 2019, dedicato ad una serie di incendi che colpirono l’Australia, mettevo in evidenza una serie di dati che segnalavano alcuni novità significative.

Il primo è che ad essere colpite sono sempre più zone storicamente non interessate da incendi. Nel caso degli incendi australiani del 2019 ad essere colpito fu il New South Wales.

L’ Australia ha una tradizione tristemente lunga di eventi tragici legati agli incendi, come testimoniano i nomi con cui sono ricordati i più devastanti fra di essi: il “Red Tuesday” del 1898, l’“Ash Wednesday” del 1983 (in cui bruciarono 20 milioni di ettari di territorio, causando 75 vittime), il “Black Christmas” del 2001 o il “Black Saturday” del 2009 (che causò 173 morti). La peggiore stagione degli incendi di cui si abbia memoria in Australia è però quella del 1974-75, in cui bruciarono oltre 95 milioni di ettari.

Ci sono tuttavia una serie di aspetti che vanno considerati per inquadrare l’eccezionalità di quanto sta accadendo in Australia. Se infatti la gran parte degli incendi di questo paese era storicamente concentrata nelle savane del centro-nord del paese, stavolta gli incendi stanno colpendo duramente anche altre zone. In particolare il New South Wales, il più popoloso dei 6 stati in cui è suddivisa l’Australia e che ha per capitale Sydney. Questo stato negli anni passati aveva registrato in media circa 280 mila ettari di territorio colpiti da incendi, mentre nelle sole ultime settimane quasi 5 milioni di ettari sono bruciati. Molto colpiti sono anche gli stati di Victoria e South Australia. In New South Wales a bruciare sono principalmente foreste, invece che praterie.

Altrettanto significativo fu il caso degli incendi che nell’agosto 2019, colpirono la Siberia e molti territori posti oltre il Circolo polare artico. All’epoca fu Mark Parrington, ricercatore del progetto europeo Copernicus, a spiegare bene come gli incendi registrati quell’anno nella zona, furono costantemente sopra la media rispetto al periodo tra il 2003 e il 2018. "È insolito vedere incendi di questa portata e durata a latitudini così elevate in giugno, ma le temperature nell'Artico sono aumentate ad un ritmo molto più rapido della media globale, e le condizioni più calde incoraggiano gli incendi a crescere e a persistere una volta che sono stati accesi".

L’intensità dei grandi incendi

Che ci sia una relazione diretta tra l’intensità dei grandi incendi e le ondate di calore - sempre più frequenti anche a latitudini un tempo non interessati da tali fenomeni (o almeno non interessati in modo così diretto) - è indubbio. Il meccanismo che lega questi due fenomeni è stato spiegato da numerosi scienziati. Le parole che seguono sono tratte da un articolo in cui analizzavo gli incendi in Nord America del settembre 2020.

"Fondamentalmente la dinamica è molto, molto semplice - spiega Philip B. Duffy, uno scienziato del clima che è presidente del Woodwell Climate Research Center - condizioni più calde e più asciutte creano un carburante più secco" e ciò che un tempo sarebbe stato un incendio facilmente estinguibile, ora cresce molto rapidamente e diventa fuori controllo”.

A supportare questa tesi il New York Times, in un’interessante analisi della situazione, ha fatto presente che “per certi versi, gli incendi di quest'anno in California sono il risultato di una storia ben più lunga. Una prolungata siccità che si è conclusa nel 2017 è stata una delle principali cause della morte di 163 milioni di alberi nelle foreste californiane nell'ultimo decennio, secondo il Servizio Forestale degli Stati Uniti. Uno degli incendi che si è mosso più velocemente quest'anno ha devastato le foreste che avevano la più alta concentrazione di alberi morti, a sud dello Yosemite National Park”.

Per spiegarlo in modo ancora più semplice riprendo le parole del ricercatore italiano Giorgio Vacchiano 

“quando l’aria è calda e secca, la vegetazione perde rapidamente acqua per evaporazione e si dissecca. Più la siccità è prolungata, più grandi sono le dimensioni delle parti vegetali che si seccano. Quando anche le parti più grandi (fusti e rami) perdono acqua, cosa che avviene molto raramente, gli incendi possono durare più a lungo proprio come in un caminetto: i “pezzi” piccoli sono quelli che fanno accendere il fuoco, e quelli grandi sono quelli che bruciano per più tempo”.

Gli effetti dei grandi incendi

Gli effetti di incendi di queste proporzioni sono ben spiegati dalle parole di Owen Price, dell’Università di Wollogong. “Nella foresta gli incendi sono molto più intensi, producono più fumo e bruciano molto più materiale, quindi c’è una maggiore produzione di gas serra e i territori ci mettono più tempo a riprendersi. Quando raggiungono le case, sono più difficili da fermare. Alcuni degli incendi nel Nord dello Stato hanno addirittura attaccato la foresta pluviale, ad esempio nel parco nazionale di Kanangra, che non era mai stato bruciato a memoria d’uomo”.

Questo tipo di situazione si è verificata anche in aree isolate, come fu per il caso degli incendi nell’isola di Gran Canaria del 2019. Gli scienziati che controllano l'attività degli incendi nelle Isole Canarie hanno osservato chiare tendenze negli ultimi cinquant'anni. In particolare, il numero di incendi è diminuito anche se il numero di ettari bruciati da ogni incendio è aumentato significativamente. Quel che succede quindi, è che gli incendi bruciano all'incirca la stessa superficie media ogni anno, ma lo fanno in modo molto più disastroso perché sono più grandi e più intensi.

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Le cause naturali

Andamenti climatici come quelli descritti sopra, sono posti in relazione con una incidenza maggiore di temporali accompagnati da fulmini. Su questo punto i dati sono ancora in corso di analisi e non c’è una visione unanime.

In relazione agli incendi in California del 2020 ci si chiedeva

Esiste una relazione tra gli effetti del cambiamento climatico e gli incendi di queste settimane in USA? In un pezzo sulla MIT Technology Review sono riportate le parole inequivocabili di David Romps, direttore del Berkeley Atmospheric Sciences Center: “andiamo al sodo: l’ondata di calore, i fulmini e la siccità della vegetazione sono stati influenzati dal riscaldamento globale? Assolutamente sì. Le temperature sono stati rese significativamente più calde, i fulmini più numerosi e la vegetazione più secca a causa del riscaldamento globale? Sì, probabilmente sì, e sì".

 Se sulle ondate di calore e la siccità della vegetazione, Romps indica due netti sì, sul ruolo dei fulmini indica un “probabilmente sì”. Più preciso di lui è Daniel Swain, uno scienziato del clima dell'Università della California, secondo il quale le tempeste di fulmini verificatesi ad agosto sono un evento così raro nella California del Nord, che è difficile valutare se il cambiamento climatico abbia avuto un ruolo nell'innescare gli incendi.

I dati relativi ai recenti incendi in Canada sembrano andare nella stessa direzione segnalando che - al netto della loro maggiore frequenza o meno - i fulmini sono una delle cause non trascurabili dello sprigionarsi degli incendi.

Le cause umane

Rimane tuttavia un dato che non può essere eluso: il fattore umano. Tanti incendi sono causati dalle persone. Dai loro comportamenti sbagliati, disattenti o inopportuni, ma anche dalla mera intenzione di generare incendi. È un tema centrale ed è di portata globale.

In molte parti del mondo viene ancora praticato un tipo di agricoltura definita “slash and burn”, ovvero “taglia e brucia”. È il modo più brutale, ma allo stesso tempo semplice, per sottrarre terra a contesti naturali e farne spazio per coltivazioni. Molti degli incendi che si sprigionano in varie aree del mondo sono il frutto di questa pratica.

In molte altre l’incidenza degli incendi di natura dolosa è più legata a ragioni criminali, che a ciò che viene spesso definita impropriamente “piromania”. E purtroppo riuscire a cogliere tali criminali sul fatto è impresa non semplice.

Treedom

Quando si verificano incendi, a Treedom veniamo spesso raggiunti da richieste di intervento nelle zone colpite. Il nostro lavoro è piantare alberi e l’associazione scatta spontanea ed è del tutto comprensibile.

Tuttavia a noi spetta l’onestà di rispondere che la priorità è quella di estinguere gli incendi e sostenere le agenzie impegnate a farlo. Poi c’è da dare aiuto immediato a coloro che hanno perso tutto. Aiutare le persone e le aziende. Fare una stima dei danni e dopo, sì, valutare i progetti di riforestazione possibili, nelle giuste aree con i giusti alberi. Un incendio devasta ogni cosa in poco tempo, ma per risanare i suoi danni servono anni interi

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